L'Optometria è una professione con un approccio
diverso dalle solite visite agli occhi.
L’Optometrista non lavora “soltanto” per
far vedere bene i suoi pazienti, piuttosto per trovare
l’equilibrio nella visione in modo del tutto olistico,
ovvero non trascurando la funzione del sistema visivo
in relazione al nostro corpo.
La visione è una funzione che comprende la totalità dell’organismo.
L'Optometria ha come compito principale quello di porre l’uomo in condizioni il più possibile ideali, per poter compiere l’atto visivo in totale comfort senza generare affaticamento.
Considerando che la conoscenza e le informazioni riguardo il mondo che ci circonda derivano per la maggior parte dalla visione, migliorare le condizioni di resa visiva dell’uomo comporta migliorare la sua dinamica di vita.
L'Optometrista è il professionista che esamina il sistema visivo seguendo due approcci: l’approccio classico e quello funzionale.
Per approccio classico si intende la classica misurazione dell’acuità visiva, la rilevazione e misurazione di eventuali difetti visivi e la verifica dei meccanismi binoculari che consentono una buona fissazione e una buona corrispondenza tra accomodazione e convergenza. L’approccio funzionale si basa invece sull’importanza della relazione che l’ambiente e l’esperienza di ciascun individuo ha sul sistema visivo, studia il rapporto tra la visione e altri aspetti del comportamento e esamina il ruolo della visione nella raccolta e nell’elaborazione delle informazioni.
Questo approccio funzionale pone le sue radici nell’illuminato lavoro di A.M. Skeffington (1890-1976) il quale pervenne all’illustrazione di un nuovo modello di visione, egli presentò un grafico composto da 4 cerchi corrispondenti a quattro grandi sistemi operativi dell’organismo (processo antigravitazionale, processo di centratura, processo di identificazione, processo di verbalizzazione) dalla cui interazione emerge, quale massima espressione di intelligenza, la visione.
Nella prima metà del Novecento vi fu anche l’influenza di due modelli il Comportamentismo (negli USA) e la Scuola della Gestalt (in Europa).
Gli studiosi della Scuola psicologica della Gestalt affrontarono l’esame dei principali fenomeni percettivi con particolare attenzione a quelli visivi, analizzando il rapporto figura-sfondo, interpretando i contesti percettivamente anomali come le illusioni ottiche, studiando le leggi che governano l’organizzazione dei dati fenomenici.
Il Comportamentismo aveva come scopo la previsione e il controllo del comportamento. L’impostazione comportamentale si è espressa nelle teorie di Skeffington, sopra citato, formulando un modello visivo capace di indagare, valutare e influenzare l’adattamento funzionale del sistema visivo agli stimoli e allo stress a cui è sottoposto.
A differenza dell’Optometria tradizionale si parlò già di come il lavoro prossimale induca problemi refrattivi, binoculari e comportamentali.
Lo stress visivo va ad influenzare l’accomodazione e la convergenza, le quali rischiano di essere in disequilibrio in seguito ad una attività prolungata da vicino. Tale squilibrato accoppiamento spiega la difficoltà e la tendenza ad evitare il lavoro da vicino e il successivo adattamento che sfocia nell’insorgere della miopia. L’Optometria nasce, fin dai tempi di Skeffington, per controllare e per prevenire questo stress visivo.
La diffusione dell’analisi visiva funzionale e di conseguenza la prescrizione a scopo preventivo e non solo refrattivo iniziò a diffondersi proprio in seguito a queste teorie.
Quindi per approccio funzionale e comportamentale si intende un approccio in cui lo specialista della visione deve considerare i sintomi relativi al sistema visivo ma anche il contesto ambientale in cui il soggetto e immerso, le motivazioni e le esigenze del soggetto.
Un’altra teoria importante fu quella di Harmon, insegnante e chinesiologo, il quale introdusse il rapporto tra visione e postura. Egli evidenziò in uno dei suoi studi che i bambini con deficit visivi passavano da un 20% a un 80% nel corso delle scuole primarie. Iniziò dunque a analizzare i fattori relativi all’ambiente scolastico e grazie ai suoi studi riuscì ad ipotizzare che la visione ha il compito di organizzare i rapporti spaziali.
Egli dimostrò che le dimensioni e i caratteri usati alla lavagna, le posizioni delle fonti di illuminazione e la distanza di lettura influiscono sulla postura dei bambini e, quando si struttura una postura scorretta, insorgono problematiche visive a livello binoculare e refrattivo.
Parallelamente a questi studiosi americani, in Germania e nei paesi scandinavi attribuivano i deficit della visione binoculare a fattori puramente sensoriali. Il modello visivo di Haase, docente pioniere di questo pensiero, pone al centro la disparità di fissazione, uno stato della visione in cui il punto di fissazione è il risultato di una disparità retinica.
Attualmente però, dopo queste teorie, l’analisi più accurata e completa deriva dal modello visivo di Sheiman e Wick noto come analisi visiva integrata (AVI).
Questo modello considera tre aree collegate tra loro:
- Integrità della funzione visiva: salute oculare, acuità visiva, condizione rifrattiva
- Efficienza visiva: Accomodazione, visione binoculare, Abilità oculomotorie
- Processamento delle informazioni visive: Abilità visuospaziali, Abilità di analisi visiva, Abilità di integrazione visuo-motoria
Questi modelli e teorie si concretizzano nelle attuali
idee e metodi di analisi visiva. Uno dei concetti
più importanti dell’analisi visiva e la binocularità
intesa come abilità percettiva che permette un campo
visivo più ampio rispetto alla visione monoculare
riuscendo a percepire l’effetto tridimensionale dello
spazio; questa percezione è detta stereopsi.
Il primo metodo per indagare la visione binoculare è
stato quello dei 21 punti OEP che deriva dal modello
di Skeffington . Esso è costituito da 21 test con l’obbiettivo di prescrivere una lente che non alteri l’equilibrio
binoculare presente.
Un altro metodo di analisi è il metodo MKH, derivante
dal modello di Haase, che ruota attorno alla disparità
di fissazione per cui c’è una sequenza di test volti
principalmente alla misurazione di quest’ultima, con
il medesimo obiettivo di dare maggiore equilibrio alla
binocularità.
Infine vi è il metodo Analisi Visiva Integrata (AVI) già prima citato che permette una valutazione ed un’analisi più completa del sistema visivo. Questo metodo unisce i vari aspetti positivi dei metodi precedenti e ne limita gli svantaggi. Il metodo AVI analizza la funzione visiva prima in modo specifico e poi in maniera integrata, per poter successivamente valutare nell’insieme i dati ottenuti e classificare eventuali difficoltà binoculari per fornire come soluzione funzionale lenti, prismi e/o visual training.
Le tre aree che compongono questo metodo ovvero integrità della funzione visiva, efficienza visiva e processamento delle informazioni visive permettono un’analisi olistica e completa del soggetto in esame.
Fine ultimo, è quello di valutare i dati ottenuti attraverso i test nel loro insieme e classificare l’eventuale anomalia binoculare presente, per fornire successivamente una soluzione funzionale in termini di lenti, prismi e visual training optometrico.
Per conoscere a pieno la professione dell’Optometria abbiamo bisogno di comprendere ancora alcuni aspetti fondamentali: si è già accennato al fatto che la visione è una funzione che comprende la totalità dell’organismo…ma perché?
In primo luogo perché non bisogna pensare agli occhi come primo organo della visione bensì al cervello. Gli occhi sono solo sofisticati ricettori di luce ma è il cervello, più precisamente la corteccia visiva, a processare e tradurre gli impulsi nervosi provenienti dalla retina. Ciò però non basta poiché il cervello oltre a processare queste informazioni le deve unire con le precedenti esperienze visuo-motorie immagazzinate nei circuiti cerebrali del cervello. Questa unione ci consente di riconoscere l’immagine mentale dell’ambiente potendoci così mettere in relazione con esso.
Altro aspetto fondamentale è il considerare la visione come capacità appresa e non innata. L’uomo impara a vedere attraverso un processo di maturazione e di crescita: a circa 3 anni si instaura una buona dominanza visiva e a circa 5 anni si iniziano a consolidare le capacità psico-motorie (lateralizzazione, direzionalità, schema corporeo, capacità di riconoscere e associare le forme), ciò è fondamentale per l’apprendimento.
Avendo localizzato la visione nel cervello più che negli
occhi si può parlare dunque di pensiero visivo.
La visione oltre a non dover essere considerata
come innata non deve neanche essere considerata
come un bene acquisito, capace di sopportare qualsiasi
tipo di sforzo, lavoro senza affaticamenti o cedimenti.
E’ proprio in questi aspetti che l’Optometria risulta
essere di fondamentale importanza poiché monitora
l’eventuale presenza di affaticamenti o di eventuali
problemi nel processamento delle immagini e fornisce
la soluzione per migliorare le performance e il benessere
visivo.
L’Optometria lavora dunque su un ampio spettro per
garantire l’equilibrio occhio-corpo e per consentire
di sfruttare al meglio le capacità visive, sensoriali,
percettive, cognitive, motorie di ognuno di noi.