CONTROLLO PROGRESSIONE MIOPICA

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Miopia

Si definisce miopia la condizione refrattiva in cui il piano focale dell’immagine, costruita dal sistema ottico oculare, si trova prima del piano anatomico della retina, nel caso in cui l’oggetto osservato è posto all’infinito e l’accomodazione è rilassata.

Tale condizione può derivare da un’alterazione delle strutture oculari, più precisamente da una maggiore lunghezza assiale del bulbo.
La miopia insorge per un insieme di fattori ambientali e genetici: la si definisce acquisita quando è caratterizzata da una componente di adattamento di tipo comportamentale, mentre congenita quando è caratterizzata per lo più da una componente genetica ed ereditaria.

Questo aspetto sembra essere predominante rispetto a quello ambientale, per esempio chi ha un genitore miope ha il doppio di possibilità di diventare miope, chi ha due genitore miopi ha cinque volte più possibilità di diventare miope, rispetto a chi non ha genitori miopi.

L’insorgenza della miopia può essere vista come una strategia di adattamento che viene adottata quando l’osservazione a distanza ridotta è protratta nel tempo. Per un soggetto miope è più agevole osservare un oggetto a distanza ravvicinata in quanto egli accomoda meno per focalizzare l’immagine sulla retina.

Tuttavia se l’attività è sostenuta nel tempo, causa affaticamento e stress visivo che può essere superato con l’adattamento: si verificherà una modifica delle strutture anatomiche oculari affinché esse possano offrire miglior visione a breve distanza, andando però a penalizzare la visione da lontano.



Controllo della progressione miopica

La ricerca delle cause della miopia e del controllo della sua progressione sono da sempre al centro degli studi dei clinici e dei ricercatori che si occupano dell’occhio e della visione.

I mezzi ed i metodi per ottenere risultati apprezzabili nel contrastare la progressione della miopia sono stati i più svariati, dall’uso programmato della correzione ottica, all’allenamento visivo, all’uso di terapie farmacologiche, all’uso delle LAC.

Un autorevole lavoro scientifico pubblicato nel 2004 (CLAMP Study, J.S.Walline, L.A. Jones, D.O. Mutti, K. Zadnik) ha frenato le aspettative riguardo l’uso di lenti a contatto RGP che studi precedenti avevano mostrato essere efficaci nel contenimento della miopia. 116 bambini sono stati seguiti per 3 anni. A 59 di essi sono state applicate lenti RGP, a 57 lenti morbide.

I risultati dello studio mostrano una minore progressione miopica nel gruppo RGP rispetto le lenti morbide, ma la lunghezza assiale aumenta in modo uguale nei due gruppi. Inoltre è presente una grande variabilità individuale e quindi gli autori concludono che queste indicazioni non sono sufficienti per dare prevalenza all’uso RGP.

La recente diffusione dell’Ortocheratologia notturna e la percezione dei clinici di una possibile influenza sul rallentamento della miopia hanno riportato l’attenzione dei ricercatori sullo stesso tema e alcuni studi cominciano a mostrare risultati incoraggianti. Sempre nel 2004 viene pubblicato un altro studio che ha coinvolto 35 bambini a cui sono state applicate lenti horto-k e altrettanti nel gruppo di controllo.

In questo studio i risultati mostrano un minore allungamento della lunghezza assiale del bulbo nel gruppo di studio rispetto a quello di controllo.

Sulla base di quanto detto, sugli studi illustrati, e quelli rilevabili dall’attività clinica quotidiana e nello specifico della mia decennale esperienza nell’applicazione di lenti a geometria inversa, concludo ribadendo l’efficacia e la validità del trattamento Ortocheratologico nel controllo della progressione miopica adolescenziale, anche per motivi pratico comportamentali e psicologici.

SEMPRE ovviamente nel rispetto dalla fisiologia corneale dell’adolescente e quindi dando fondamentale importanza alla collaborazione con i vari professionisti della visione, confermando l’importanza della centralità del paziente e l’interdisciplinarietà dell’approccio.

Negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni si è verificato un incremento del 66% dei soggetti miopi. Nei Paesi asiatici, dove spesso le condizioni di lavoro non sono ideali a causa di spazi chiusi e molto ristretti e del largo uso di video terminali, si assiste a percentuali di incidenza della miopia ancora più elevate, come nel caso del Taiwan dove supera l’80%.

Anche l’Europa, e dunque l’Italia, è interessata da questo fenomeno di crescita.

Nonostante questa tendenza sia stata accostata soprattutto all’espansione vertiginosa delle tecnologie (ad esempio il pc) che richiedono un’intensa attività visiva prossimale per periodi di tempo tendenzialmente lunghi, è sempre stata la visione a tale distanza ad essere reputata una delle principali cause dell’insorgenza della miopia, recenti studi hanno messo in forte dubbio tale correlazione.

Resta comunque di primaria importanza far fronte alla crescente incidenza della miopia, introducendo alcune strategie di controllo e prevenzione, ovvero tutti quei metodi mediante i quali si può prevenire lo sviluppo della miopia e, nel caso in cui si sia già verificata, rallentarne o addirittura bloccarne l’avanzamento.

Scopo di questa relazione, indipendentemente da quale ne sia la causa, è diffondere l’importanza di far fronte a questo fenomeno introducendo alcune strategie di controllo e prevenzione, ovvero tutti quei metodi mediante i quali si può prevenire lo sviluppo della miopia e, nel caso in cui si sia già verificata, rallentarne o addirittura bloccarne l’avanzamento.

L’argomento è talmente vasto che in questo lavoro ne verranno trattati ed esaminati solo alcuni aspetti, e accennandone appena altri, come, ad esempio il Visual Training.

Si definisce miopia la condizione refrattiva in cui il piano focale dell’immagine, costruita dal sistema ottico oculare, si trova prima del piano anatomico della retina, nel caso in cui l’oggetto osservato è posto all’infinito e l’accomodazione è rilassata. Tale condizione può derivare da un’alterazione delle strutture oculari, più precisamente da un maggiore lunghezza assiale del bulbo.

La miopia insorge per un insieme di fattori ambientali e genetici: la si definisce acquisita quando è caratterizzata da una componente di adattamento di tipo comportamentale, mentre congenita quando è caratterizzata per lo più da una componente genetica ed ereditaria.

Questo aspetto sembra essere predominante rispetto a quello ambientale, per esempio chi ha un genitore miope ha il doppio di possibilità di diventare miope, chi ha due genitore miopi ha cinque volte più possibilità di diventare miope, rispetto a chi non ha genitori miopi.

L’insorgenza della miopia può essere vista come una strategia di adattamento che viene adottata quando l’osservazione a distanza ridotta è protratta nel tempo. Per un soggetto miope è più agevole osservare un oggetto a distanza ravvicinata in quanto egli accomoda meno per focalizzare l’immagine sulla retina.

Tuttavia se l’attività è sostenuta nel tempo, causa affaticamento e stress visivo che può essere superato con l’adattamento: si verificherà una modifica delle strutture anatomiche oculari affinché esse possano offrire miglior visione a breve distanza, andando però a penalizzare la visione da lontano.

Il sistema visivo umano fu inoltre studiato con una prospettiva evolutiva. I primi uomini esistenti vivevano quasi esclusivamente di caccia: era indispensabile una buona visione da lontano per individuare la preda e riconoscere tempestivamente situazioni di pericolo riuscendo così a mettersi in salvo.

La sopravvivenza di quegli individui, che non erano dotati di adeguate abilità e nello specifico di tipo visivo, veniva minacciata. Pertanto secondo una selezione naturale i soggetti con deficit visivi da lontano sono riusciti a sopravvivere meno, facendo sì che la specie umana si rafforzasse eliminando la possibilità di sviluppo miopico. Quest’ultimo si presentò nuovamente quando furono introdotte le prime forme di civilizzazione: dall’avvento della scrittura, passando per la prima forma di industrializzazione e arrivando alla tecnologia contemporanea ormai diventata indispensabile.

Ma quali sono le cause per le quali avviene l’allungamento bulbare e quindi per le quali si verifica l’insorgenza della miopia? Donders già nel 1864 sostenne che la miopia fosse il risultato di una prolungata tensione degli occhi durante il lavoro da vicino e di un allungamento dell’asse visivo.
Similmente Kelly nel 1975 mise in evidenza il possibile ruolo dell’accomodazione come causa della miopia definendo quest’ultima “glaucoma espansivo giovanile”, ossia una condizione portata dall’eccessivo lavoro prossimale che a sua volta causava un incremento della pressione intraoculare con successiva espansione della camera vitrea.

Tale tesi però non trova alcun riscontro negli studi recenti, alcuni dei quali dimostrano che l’accomodazione sia causa di una riduzione della pressione intraoculare.
In seguito a questi studi la maggior parte delle ricerche scientifiche si è concentrata soprattutto sull’accomodazione e sulla convergenza ritenendole principali responsabili del fenomeno di allungamento bulbare. Si notò che la miopia aumentava man mano che i bambini frequentavano la scuola e ritenne che l’uso e, in particolare, l’abuso degli occhi fosse la causa della miopia.

Questa teoria fu presa in considerazione nei successivi cinquant’anni al fine di migliorare le condizioni di igiene visiva nella scuole.
Come avviene l’allungamento assiale del bulbo e quali strutture si modificano affinché questo avvenga?
Nei primi 3 anni di vita la cornea e il cristallino si modificano per controbilanciare un incremento di circa 20 diottrie dovuto all’allungamento assiale dell’occhio in crescita. Tra i 3 e i 13 anni il cristallino e la cornea necessitano di un aggiustamento di circa 3 diottrie per mantenere la condizione di emmetropia.

Di pari passo alla crescita oculare il cristallino aggiunge via via strati di tessuto sempre più sottili allungandosi lungo il piano equatoriale, appiattendosi e assottigliandosi, perdendo così potere per compensare la lunghezza assiale del bulbo mantenendo in tal modo l’emmetropia.

Quando il cristallino non è più in grado di allungarsi l’occhio diventa miope portando quest’ultimo ad assumere una forma più prolata e meno oblata.
Secondo alcune ipotesi il motivo dell’interruzione dell’espansione equatoriale è attribuibile all’ispessimento del muscolo ciliare, riscontrato sia in miopi giovani che adulti.

La forma prolata del bulbo va a creare quel che si definisce un defocus periferico ipermetropico, cioè i raggi luminosi che vanno a fuoco in corrispondenza della zona retinica centrale, in periferia vanno a fuoco posteriormente alla retina: in tal modo la zona visiva centrale rimane emmetrope mentre più perifericamente si crea uno strato refrattivo ipermetropico. Il defocus periferico è l’ipotesi più attendibile riguardo il processo di progressione miopica, infatti la refrazione periferica dei miopi risulta appunto ipermetropica. Sia la deprivazione di forma che il defocus ipermetropico, nella periferia retinica producono miopia assiale centrale.

A conferma di quanto la visione periferica possa influenzare la crescita oculare è stato notato che gli occhi ipermetropi sono perifericamente miopi e, quindi, è stato ipotizzato che solo con un defocus periferico miopico si può bloccare la progressione della miopia. Per molti anni a partire dall’inizio del secolo scorso il controllo della miopia più utilizzato fu la sottocorrezione (o ipocorrezione), generalmente di 0.50-0.75 D.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale furono fatte numerose ricerche e prove sull’efficacia di questo espediente, sulla cui efficacia non è stato possibile riscontrare sufficiente significatività scientifica.

Recenti studi hanno dimostrato che la sottocorrezione fa peggiorare più della correzione completa, quindi non solo non è utile, ma addirittura tale approccio pare avere effetto contrario.
Nel 1981 Friedman descrisse un programma di training visivo che prevedeva l’uso di lenti positive e delle linee guida sulla visione: non leggere stampe troppo piccole o di scarsa qualità, in condizioni di insufficiente illuminazione, in posizioni scomode o in veicoli in movimento, sotto condizioni di stress eccessivo e tenere una distanza di lettura idonea.

Nel 1993 Birnbaum incluse nel suo programma esercizi di stimolo per l’accomodazione e la convergenza con l’uso di addizione positiva per vicino, per la facilità accomodativa (monoculare e binoculare) e per le vergenze fusionali.
Raccomandò poi alcune strategie visive: tenere una distanza di lettura pari a quella tra il gomito e la seconda nocca del dito medio (attualmente nota come distanza di Harmon), leggere in maniera rilassata con una buona postura e illuminazione libera e pulita, facendo pause ogni 10-15 minuti fissando oggetti posti lontano.
Nel 1997 Scherman e Press ripresero molti dei concetti introdotti da Birnbaum, quindi considerando la miopia come il risultato di un adattamento allo stress da visione prossimale.

Considerando quanto detto finora appare evidente la convinzione che l’attività visiva prossimale possa influenzare l’insorgenza della miopia, anche se come detto in precedenza questa teoria non è mai stata definitivamente comprovata da adeguati studi scientifici.
Un altro aspetto importante valutato recentemente è la postura tenuta sul banco di scuola o a casa durante lo studio, che diventa fondamentale in quanto si rischia di tenere una distanza di lettura non adeguata o di non avere un campo di percezione visiva aperto. A tal proposito sono state adottate delle contromisure come per esempio l’uso di un piano inclinato durante lo studio o la lettura, il quale fa in modo che il soggetto tenga una postura corretta, cioè tenendo il più possibile il baricentro corporeo in linea con l’asse verticale coincidente con la colonna vertebrale.

Oltre ad una corretta postura, il piano inclinato permette anche di tenere un campo percettivo aperto con entrambi gli occhi.
Specifiche regioni retiniche locali controllano la crescita di corrispondenti regioni oculari. Per questo motivo è importante avere un campo percettivo simile per entrambi gli occhi così da prevenire eventuali anisometropie.

Un altro comune metodo di prevenzione consiste nella prescrizione di “lenti positive” per soggetti in cui si associano progressione miopica pur non essendo ancora miopi (ipermetropi che diventano emmetropi) e anomalie della visione binoculare, con difficoltà a mettere a fuoco e a leggere confortevolmente.

Proprio questi sintomi si accostano a una condizione di eccesso di convergenza (esoforia prossimale), riconducibili ad un rapporto AC\A e un lag accomodativo elevati.
Queste condizioni sono molto spesso associate alla miopia. Quando le lenti positive, che agevolano il lavoro prossimale, vanno associate ad una compensazione ottica da lontano diventa doveroso e consigliabile utilizzare lenti bifocali oppure le moderne lenti occupazionali, vale a dire una lente multifocale specifica per il lavoro a distanza vicina o intermedia.

La compensazione della miopia si effettua mediante l’uso di lenti oftalmiche o lenti a contatto di potere negativo. Nell’intenzione di contrastare la progressione miopica, soprattutto quando associata ad eccesso di convergenza, si consiglia di studiare o lavorare a distanza prossimale senza la compensazione sul difetto da lontano, se la miopia è lieve, o di utilizzare una correzione inferiore (l’occhiale ‘vecchio’), se la miopia è medio-alta. Per questo motivo tra i metodi di compensazione che prevedono, oltre alla correzione dell’errore refrattivo anche il controllo sulla progressione miopica, si trovano le lenti bifocali e multifocali. In tema di controllo miopico esse vanno a rendere più confortevole la visione prossimale andando a diminuire lo stress accomodativo. Tuttavia nonostante questo aspetto positivo caratteristico non hanno mai portato a risultati considerevoli.

Uno studio del 1967 condotto da Roberts e Banford prese in esame 85 miopi che portavano lenti bifocali, e 396 miopi corretti con lenti monofocali per un periodo di 14 anni. Nei portatori di lenti bifocali si era verificata una progressione miopica di -0.31 D per anno contro -0.41 D per anno dei portatori di lenti monofocali.

Goss nel 1986 comparò la progressione di 52 miopi che portavano lenti monofocali con 60 che portavano lenti bifocali. L’età dei soggetti variava dai 6 ai 15 anni. In media risultò una progressione di -0.44 D per i portatori di lenti monofocali e di -0.37 D per i portatori di lenti bifocali.

Nel 1985 Grosvenor, Perrigin e Maslovitz condussero su 212 bambini miopi uno studio, durato tre anni, comparando tre gruppi di trattamento: portatori di lenti monofocali, portatori di lenti bifocali con addizione +1.00 D e portatori di lenti bifocali con addizione +2.00 D. Dai dati ottenuti risultò una progressioni di -0.34 D sia per i portatori di lenti monofocali che per quelli di lenti bifocali con addizione +2.00 D e di -0.36 D per i portatori di lenti bifocali con addizione +1.00 D.

Goss e Grosvenor nel 1990 rianalizzarono gli studi sopra riportati e rilevarono che il trattamento con lenti bifocali portava a una diminuzione della progressione pari a -0.20 D in soggetti con esoforia prossimale rispetto alla progressione riscontrata, anche con lenti monofocali, nei soggetti con ortoforia o exoforia prossimale. Goss sosteneva infatti che il trattamento con lenti bifocali risultasse più efficace nel caso in cui il soggetto presentasse esoforia prossimale e un alto lag accomodativo.

Dagli studi qui riportati, ma non solo, le lenti bifocali, in tema di controllo, non portano ad una diminuzione considerevole di progressione, in rapporto a quella ottenuta con le monofocali. Ben altro discorso va fatto per le lenti oftalmiche multifocali: esse sono concepite per avere una visione nitida sia da lontano che da vicino.

A differenza delle bifocali, permettono anche la visione a distanza intermedia grazie al canale di progressione che funge da collegamento tra la parte superiore (visione distale) e la parte inferiore (visione pros- simale) evitando così lo sbalzo di immagine tipico delle bifocali e permettendo un graduale passaggio tra le due distanze.

Leung e Braun nel 1999 furono i primi a portare a termine uno studio sull’efficacia delle lenti progressive. I soggetti furono 79 bambini cinesi tra i 9 e i 12 anni con una miopia che variava tra -1.00 D e -5.00 D. metà dei bambini indossarono occhiali con lenti progressive, alcuni con un addizione di +1.50 D altri con un’addizione di +2.00 D; l’altra metà indossò occhiali con lenti monofocali.

L’aumento di miopia registrata al termine di ogni anno fu di -0.38 D nel gruppo con +1.50 di addizione, di -0.33 D nel gruppo con +2.00 D di addizione e di -0.62 D nel gruppo con lenti monofocali. Si registrò inoltre anche un aumento della lunghezza assiale del bulbo oculare che fu rispettivamente di 0.49 mm, 0.41 mm e 0.74 mm.

Conclusero pertanto che c’era una stretta correlazione tra progressione miopica e incremento della lunghezza assiale e che l’uso di lenti progressive fosse un’opzione da prendere in considerazione per il controllo miopico.

Un recentissimo studio ha determinato gli effetti causati dall’uso di lenti progressive e lenti monofocali sul defocus periferico in bambini miopi, comparando, inoltre l’effetto del defocus miopico e ipermetropico periferico sulla progressione (miopica) foveale. Sono stati presi nello studio 84 bambini di età compresa tra 6 e 11 anni con una miopia compresa tra -0.75 D e -4.50 D.

Sono stati casualmente assegnati a due gruppi, uno comprendeva i portatori di lenti monofocali e l’altro i portatori di lenti progressive. Usando il così detto Complete Ophthalmic Analysis System for Vision Research (COAS-VR) sono state eseguite misurazioni aberrometriche sulla retina (30°superiormente, lateralmente e nasalmente, 20° inferiormente rispetto alla fovea).

È risultato che le lenti monofocali avevano causato uno shift iperme- tropico periferico in tutte le direzioni (P=0.0003), mentre per i portatori di lenti progressive si era verificato uno shift miopico in tutte le direzioni (P=0.01) e maggiormente nella parte superiore. Il gruppo con lenti progressive presentava dopo un anno una progressione di -0.38 D contro -0.65 D presentato dal gruppo con lenti monofocali. I ricercatori hanno quindi concluso che le lenti progressive causano un defocus miopico periferico che rallenta la progressione miopica centrale.

Metodi per il controllo della progressione miopica



Negli anni, molti sono stati i metodi utilizzati da numerosi specialisti della visione, per il contrasto della progressione miopica, per di più basati sull’empirismo o sulla pratica clinica quotidiana, che in taluni casi dava risultati incoraggianti ma altre volte no. Parecchi ricercatori non si sono mai dati per vinti, introducendo nel tempo articolati mezzi di compensazione della miopia, dall’uso di lenti calcolate con approcci optometrici più o meno complessi, all’uso di lenti a contatto speciali, o ancora approcciando a soluzioni olistiche, quali il Visual Training optometrico classico e comportamentale, o ancora semplicemente intuendo nell’igiene visiva e nel buon senso di utilizzo del sistema visivo, un metodo efficace per ridurre gli effetti della miopia.

Sottocorrezione

Per molti anni a partire dall’inizio del secolo scorso il controllo della miopia più utilizzato fu la sottocorrezione (o ipocorrezione), generalmente di 0.50-0.75 D.


Dopo la Seconda Guerra Mondiale furono fatte numerose ricerche e prove sull’efficacia di questo espediente, sulla cui efficacia non è stato possibile riscontrare sufficiente significatività scientifica. Recenti studi hanno dimostrato che la sottocorrezione fa peggiorare più della correzione completa, quindi non solo non è utile, ma addirittura tale approccio pare avere effetto contrario.




Igiene Visiva e Visual Training Optometrico

Nel 1981 Friedman descrisse un programma di training visivo che prevedeva l’uso di lenti positive e delle linee guida sulla visione: non leggere stampe troppo piccole o di scarsa qualità, in condizioni di insufficiente illuminazione, in posizioni scomode o in veicoli in movimento, sotto condizioni di stress eccessivo e tenere una distanza di lettura idonea.

Nel 1993 Birnbaum incluse nel suo programma esercizi di stimolo per l’accomodazione e la convergenza con l’uso di addizione positiva per vicino, per la facilità accomodativa (monoculare e binoculare) e per le vergenze fusionali. Raccomandò poi alcune strategie visive: tenere una distanza di lettura pari a quella tra il gomito e la seconda nocca del dito medio (attualmente nota come distanza di Harmon), leggere in maniera rilassata con una buona postura e illuminazione libera e pulita, facendo pause ogni 10-15 minuti fissando oggetti posti lontano.

Nel 1997 Scherman e Press ripresero molti dei concetti introdotti da Birnbaum, quindi considerando la miopia come il risultato di un adattamento allo stress da visione prossimale Considerando quanto detto finora appare evidente la convinzione che l’attività visiva prossimale possa influenzare l’insorgenza della miopia, anche se come detto in precedenza questa teoria non è mai stata definitivamente comprovata da adeguati studi scientifici.

Un altro aspetto importante valutato recentemente è la postura tenuta sul banco di scuola o a casa durante lo studio, che diventa fondamentale in quanto si rischia di tenere una distanza di lettura non adeguata o di non avere un campo di percezione visiva aperto. A tal proposito sono state adottate delle contromisure come per esempio l’uso di un piano inclinato durante lo studio o la lettura, il quale fa in modo che il soggetto tenga una postura corretta, cioè tenendo il più possibile il baricentro corporeo in linea con l’asse verticale coincidente con la colonna vertebrale.

Oltre ad una corretta postura, il piano inclinato permette anche di tenere un campo percettivo aperto con entrambi gli occhi.
Specifiche regioni retiniche locali controllano la crescita di corrispondenti regioni oculari.

Per questo motivo è importante avere un campo percettivo simile per entrambi gli occhi così da prevenire eventuali anisometropie.

Un altro comune metodo di prevenzione consiste nella prescrizione di “lenti positive” per soggetti in cui si associano progressione miopica pur non essendo ancora miopi (ipermetropi che diventano emmetropi) e anomalie della visione binoculare, con difficoltà a mettere a fuoco e a leggere confortevolmente. Proprio questi sintomi si accostano a una condizione di eccesso di convergenza (esoforia prossimale), riconducibili ad un rapporto AC\A e un lag accomodativo elevati.

Queste condizioni sono molto spesso associate alla miopia. Quando le lenti positive, che agevolano il lavoro prossimale, vanno associate ad una compensazione ottica da lontano diventa doveroso e consigliabile utilizzare lenti bifocali oppure le moderne lenti occupazionali, vale a dire una lente multifocale specifica per il lavoro a distanza vicina o intermedia


Lenti Bifocali

La compensazione della miopia si effettua mediante l’uso di lenti oftalmiche o lenti a contatto di potere negativo. Nell’intenzione di contrastare la progressione miopica, soprattutto quando associata ad eccesso di convergenza, si consiglia di studiare o lavorare a distanza prossimale senza la compensazione sul difetto da lontano, se la miopia è lieve, o di utilizzare una correzione inferiore (l’occhiale ‘vecchio’), se la miopia è medio-alta. Per questo motivo tra i metodi di compensazione che prevedono, oltre alla correzione dell’errore refrattivo anche il controllo sulla progressione miopica, si trovano le lenti bifocali e multifocali.

In tema di controllo miopico esse vanno a rendere più confortevole la visione prossimale andando a diminuire lo stress accomodativo. Tuttavia nonostante questo aspetto positivo caratteristico non hanno mai portato a risultati considerevoli.

Uno studio negli anni 60 prese in esame 85 miopi che portavano lenti bifocali, e 396 miopi corretti con lenti monofocali per un periodo di 14 anni. Nei portatori di lenti bifocali si era verificata una progressione miopica di -0.31 D per anno contro -0.41 D per anno dei portatori di lenti monofocali. Roberts, Banford (1967)

Un altro studio comparò la progressione di 52 miopi che portavano lenti monofocali con 60 che portavano lenti bifocali. L’età dei soggetti variava dai 6 ai 15 anni. In media risultò una progressione di -0.44 D per i portatori di lenti monofocali e di -0.37 D per i portatori di lenti bifocali. Goss (1986)

Negli anni 80 si condusse su 212 bambini miopi uno studio, durato tre anni, comparando tre gruppi di trattamento: portatori di lenti monofocali, portatori di lenti bifocali con addizione +1.00 D e portatori di lenti bifocali con addizione +2.00 D.

Dai dati ottenuti risultò una progressioni di -0.34 D sia per i portatori di lenti monofocali che per quelli di lenti bifocali con addizione +2.00 D e di -0.36 D per i portatori di lenti bifocali con addizione +1.00 D. Grosvenor, Perrigin e Maslovitz (1985)

Pochi anni dopo si rianalizzarono gli studi sopra riportati e rilevarono che il trattamento con lenti bifocali portava a una diminuzione della progressione pari a -0.20 D in soggetti con esoforia prossimale rispetto alla progressione riscontrata, anche con lenti monofocali, nei soggetti con ortoforia o exoforia prossimale. Si sosteneva infatti che il trattamento con lenti bifocali risultasse più efficace nel caso in cui il soggetto presentasse esoforia prossimale e un alto lag accomodativo.

Dagli studi qui riportati, ma non solo, le lenti bifocali, in tema di controllo, non portano ad una diminuzione considerevole di progressione, in rapporto a quella ottenuta con le monofocali. Goss, Grosvenor (1990)


Lenti Progressive

Ben altro discorso va fatto per le lenti oftalmiche multifocali: esse sono concepite per avere una visione nitida sia da lontano che da vicino. A differenza delle bifocali, permettono anche la visione a distanza intermedia grazie al canale di progressione che funge da collegamento tra la parte superiore (visione distale) e la parte inferiore (visione prossimale) evitando così lo sbalzo di immagine tipico delle bifocali e permettendo un graduale passaggio tra le due distanze.

Il primo studio portato a termine sull’efficacia delle lenti progressive analizzò 79 bambini cinesi tra i 9 e i 12 anni con una miopia che variava tra -1.00 D e -5.00 D. metà dei bambini indossarono occhiali con lenti progressive, alcuni con un addizione di +1.50 D altri con un’addizione di +2.00 D; l’altra metà indossò occhiali con lenti monofocali.

L’aumento di miopia registrata al termine di ogni anno fu di -0.38 D nel gruppo con +1.50 di addizione, di -0.33 D nel gruppo con +2.00 D di addizione e di -0.62 D nel gruppo con lenti monofocali.

Si registrò inoltre anche un aumento della lunghezza assiale del bulbo oculare che fu rispettivamente di 0.49 mm, 0.41 mm e 0.74 mm.
Conclusero pertanto che c’era una stretta correlazione tra progressione miopica e incremento della lunghezza assiale e che l’uso di lenti progressive fosse un’opzione da prendere in considerazione per il controllo miopico. Leung, Braun (1999) Un recentissimo studio ha determinato gli effetti causati dall’uso di lenti progressive e lenti monofocali sul defocus periferico in bambini miopi, comparando, inoltre l’effetto del defocus miopico e ipermetropico periferico sulla progressione (miopica) foveale. Sono stati presi nello studio 84 bambini di età compresa tra 6 e 11 anni con una miopia compresa tra -0.75 D e -4.50 D.

Sono stati casualmente assegnati a due gruppi, uno comprendeva i portatori di lenti monofocali e l’altro i portatori di lenti progressive. Usando il così detto Complete Ophthalmic Analysis System for Vision Research (COAS-VR) sono state eseguite misurazioni aberrometriche sulla retina (30°superiormente, lateralmente e nasalmente, 20° inferiormente rispetto alla fovea).

È risultato che le lenti monofocali avevano causato uno shift ipermetropico periferico in tutte le direzioni (P=0.0003), mentre per i portatori di lenti progressive si era verificato uno shift miopico in tutte le direzioni (P=0.01) e maggiormente nella parte superiore.

Il gruppo con lenti progressive presentava dopo un anno una progressione di -0.38 D contro -0.65 D presentato dal gruppo con lenti monofocali.
I ricercatori hanno quindi concluso che le lenti progressive causano un defocus miopico periferico che rallenta la progressione miopica centrale.


Lenti a contatto rigide

Accanto alla compensazione con lenti oftalmiche è diffuso l’utilizzo di lenti a contatto (LaC) che, nel caso dei miopi, rendono la visione più nitida, confortevole e reale fin dal primo utilizzo.

Il primo materiale usato in contattologia rigida fu il PMMA (polimetilmetacrilato). Esso presentava diverse caratteristiche positive quali trasparenza ottica, durata, stabilità, atossicità, resistenza alla formazione dei depositi, facilità di lavorazione, riproducibilità e basso costo.

Tuttavia la sua non permeabilità all’ossigeno ne ha limitato l’uso, soprattutto dopo la produzione di materiali migliori sotto questo aspetto.

In termini di controllo miopico si pensava che le lenti in PMMA avessero una funzione di rimodellamento corneale, ovvero la modificazione della forma della cornea a scopo ottico: i raggi luminosi che prima incontravano un cornea più curva tipica di un soggetto miope e che venivano deviati maggiormente andando a fuoco prima del piano retinico, dopo il rimodellamento (più precisamente si parla di schiacciamento apicale) la superficie corneale più piatta devia meno i raggi consentendo loro di andare a fuoco sulla retina.

Negli anni 70 uno studio confrontò la progressione miopica tra soggetti che usavano occhiali con lenti monofocali e quelli che portavano lenti rigide in PMMA applicate appena più strette del meridiano più piatto. I soggetti furono presi nel periodo di età in cui la miopia si sviluppa più velocemente, ovvero l’adolescenza, e furono sottoposti allo studio per 5 anni. I risultati furono ben chiari: una progressione di -0.50 D nei portatori di lenti a contatto, contro -1.75 D per i soggetti con gli occhiali.

Secondo l’autore la differenza non era da attribuire totalmente all’appiattimento corneale causato dalle lenti a contatto. Infatti mise in evidenza che la differenza di appiattimento tra i due gruppi era inferiore a 0.50 D mentre la differenza in termini di progressione miopica era di 1.25 D. Stone (1973)

Tenendo conto che sia le lenti in PMMA sia le RGP agiscono sicuramente in parte o addirittura totalmente sfruttando il rimodellamento corneale, si può considerare a tal proposito un errore strumentale nelle misurazioni dei ricercatori negli studi.

Il cheratometro da essi utilizzato per le misurazioni considerava la parte paracentrale della cornea e non la zona apicale dove avviene lo schiacciamento da parte della lente.

Questo errore involontario ha portato loro a concludere che non tutta la riduzione in termini di progressione miopica era dovuta al rimodellamento, mentre molto probabilmente si sbagliavano.

Dato il successo avuto dalle lenti in PMMA nel controllo miopico si pensò di poter utilizzare anche le lenti RGP (rigide gas permeabile) che offrivano appunto il vantaggio di essere permeabili all’ossigeno, mantenendo lo stesso principio di funzionamento.

Il primo studio clinico effettuato con le lenti RGP fu condotto su un gruppo sperimentale composto da 100 miopi di età compresa tra i 9 e i 13 anni in tre anni. Le lenti furono applicate tutte “on-K” cioè allineate al meridiano più piatto.

Il gruppo controllo era composto da soggetti, sempre con lo stesso intervallo di età, portatori di occhiali. Dopo tre anni furono riportati i primi risultati: per i soggetti portatori di RGP ci fu una progressione pari a -0.48 D, mentre per il gruppo di controllo ci fu una progressione pari a -1.53 D. Houston University (1991)

Analogamente allo studio effettuato da Stone anche in questo caso l’effetto dovuto all’appiattimento corneale (0.37) sul controllo è minore della metà del risultato finale Il beneficio riscontrato dall’uso delle lenti RGP è stato evidenziato anche nello studio in cui è stata valutata la progressione miopica dopo l’uso di RGP e quella dopo l’uso di lenti morbide.

Dopo un periodo di tre anni ci fu un incremento pari a -1.56 D per il gruppo con lenti RGP e -2.19 per il gruppo con lenti morbide. Ohio University (2004)

Alla luce di tutte queste dimostrazioni nacque però un interrogativo: con un porto discontinuo di lenti rigide ci sarebbero comunque gli stessi effetti sulla progressione?
Sempre alla Houston University furono monitorati i soggetti presi per lo studio precedente sopra riportato. Fu loro chiesto durante le vacanze estive, al termine dell’anno accademico, di continuare ad usare lenti RGP, non indossandole quotidianamente ma alternando il loro porto utilizzando gli occhiali.
I risultati ottenuti alla fine dell’estate, quindi per un periodo di circa tre mesi, mostrarono un’elevata progressione miopica. Nasce pertanto un sostanziale dubbio su quali siano i veri effetti del rimodellamento corneale causato dalle lenti.
Grosvenor T., Perrigin D., Perrigin J (1991)


Lenti a contatto bifocali

Le LaC bifocali hanno, appunto, due poteri e sono state concepite per mettere a fuoco oggetti posti lontano e vicino. Tali lenti erano nate soprattutto con l’intento di favorire i presbiti ametropi, ma la necessità di compensare correttamente un miope da lontano e al tempo stesso poter disporre di un addizione per la visione prossimale, la rende una soluzione alternativa valida alle LaC monofocali.

Nel caso di Design ad Anelli concentrici su ogni anello vi è un diverso potere diottrico.
Sono stati studiati diversi design più o meno complessi, ma con l’unico scopo di avere una visione il più possibile nitida per entrambe le distanze di fissazione.
Il più comune è quello ad anelli concentrici, su ognuno dei quali si ha un diverso potere diottrico.
L’efficacia di queste lenti dipende soprattutto dal posizionamento che esse assumono sull’occhio e dalla dimensione pupillare del soggetto che varia in base alla fissazione lontano o vicino e anche dell’intensità luminosa.

Il vantaggio di queste lenti è dovuto al fatto che possono ruotare seguendo le varie escursioni dell’occhio senza indurre effetti prismatici e senza variare l’effetto ottico.

Oltre a ridurre lo sforzo accomodativo nella visione prossimale, quelle con la zone centrale dedicata alla visione a distanza producono un defocus periferico miopico che l’occhio interpreta come un segnale di stop per la crescita determinando un defocus miopico.

In questo tipo di design si applica sempre il concetto di Defocus miopico periferico in cui vi è una sostanziale riduzione dello sforzo accomodativo prossimale con una Zona centrale di Visione per Lontano ed una Zona anulare per la Visione del Vicino. A verificare l’efficacia di tali lenti a contatto sulla progressione miopica fu uno studio del 2006 che interessò 78 soggetti miopi di età compresa tra gli 8 e i 18 anni, con esoforia prossimale, che vennero divisi in due gruppi: uno di controllo in cui era richiesto il porto di lenti a contatto morbide monofocali e l’altro in cui era richiesto il porto di lenti a contatto morbide bifocali. Dopo un anno si registrò una progressione di -0.10 D per i portatori delle bifocali e di -0.75 D per il gruppo controllo. Rispettivamente si era verificato un incremento della lunghezza assiale di 0.05 mm e di 0.24 mm. Aller T.A., Wildsoet C.F (2006)


Lenti a contatto morbide bifocali

A partire dal 2010 la Cooper Vision ha cominciato a commercializzare ad Hong Kong una lente a contatto morbida bifocale giornaliera ideata specificatamente per il controllo miopico. Si tratta della così detta MiSight prodotta con gli stessi materiali della Proclear.


Lenti a contatto morbide multifocali

Un altro trattamento per il controllo della progressione miopica è la lente a contatto morbida multifocale. Essa permette la visione nitida a tutte le distanze di fissazione. Come per la bifocale sono stati studiati diversi design e profili appunto per far fronte a qualsiasi tipo di esigenza visiva.

Sostanzialmente la lente è costituita da diversi anelli concentrici di potere diverso che vanno a creare più immagini retiniche per oggetti posti a diverse distanze. Sono multiconcentriche in modo da diminuire la dipendenza del funzionamento dalla dimensione pupillare.

Oltre che da quest’ultima la loro efficacia è molto influenzata dal centraggio e dalla potenza diottrica dell’addizione. In tema di controllo miopico il loro funzionamento è stato esaminato in un recente studio che ha comparato il defocus periferico in occhi miopi causato da lenti a contatto sferiche monofocali e da lenti a contatto multifocali centrate per lontano. La lente multifocale causava un defocus miopico periferico durante la visione distale, mentre nel vicino si verificava un defocus periferico relativamente più miopico (meno ipermetropico) rispetto alla lente sferica monofocale.

Secondo i ricercatori di questo studio i risultati rendono la multifocale un’ottima candidata per il controllo miopico dei bambini. Berntsen D.A., Kramer C.E (2013)

A confermare questa ipotesi un altro studio ha determinato gli effetti delle lenti multifocali centrate per lontano sulla progressione miopica in un periodo di 2 anni. I risultati indicarono un riduzione del 50% della progressione nei soggetti che avevano portato lenti multifocali (P=0.0001) e in questi una riduzione del 29% dell’allungamento assiale del bulbo. Walline J.J., Greiner K.L., McVey M.E., Jones-Jordan L.A (2013)


Ortocheratologia



Con il termine ortocheratologia si intende una procedura, mediante l’uso di LaC, per compensare l’errore refrattivo tramite la modifica o meglio il rimodellamento della curvatura corneale. È un trattamento reversibile che permette, sospendendo l’uso delle LaC, di ritornare alla situazione iniziale.

L’ortocheratologia prevede sia l’uso diurno di tale specifiche lenti, sia l’uso notturno (ortocheratologia notturna). Il beneficio portato dal primo tipo di applicazione ortocheratologica è che consente alla sera, per esempio al termine delle attività lavorative, di portare una correzione più leggera rispetto a quella abituale, ottimale in caso di miopie elevate; il secondo tipo, invece, prevede l’uso delle lenti durante il sonno per ottenere un rimodellamento corneale tale da permettere una visione adeguata senza lenti, di giorno.

L’aspetto più delicato riguarda la fisiologia e i danni ai quali la cornea è maggiormente esposta a causa di potenziali infezioni, tuttavia facilmente evitabili con una buona educazione igienica da parte del portatore e un costante monitoraggio da parte degli specialisti.

Il monitoraggio dell’optometrista diventa fondamentale poiché la lente deve essere calcolata con estrema precisione in base ai parametri corneali e deve garantire il giusto rimodellamento corneale affinché la visione possa risultare nitida quando le lenti vengono tolte.

Possono, infatti, verificarsi diverse situazioni, dovute all’errata applicazione o all’eccessivo movimento della lente, che comportano, nella maggior parte dei casi, un rimodellamento errato, tale da non compensare adeguatamente la miopia ed introdurre aberrazioni. Anche in tal caso basta sospendere l’applicazione momentaneamente, migliorandola e poi riprendere il trattamento.

Sotto il profilo storico già dagli anni ’50 ci si era resi conto delle variazioni di curvatura indotte dalle lenti rigide, ma solo nei primi anni ’60 si cominciò a sfruttare questo effetto per la correzione degli errori refrattivi.

Le prime lenti a contatto utilizzate erano molto piatte e con diametri grandi in modo da garantire l’effetto di appiattimento sull’apice corneale.

Queste lenti avevano però dei grossi limiti tra cui la difficoltà di centraggio e un’eccessiva dinamica che portavano disturbi visivi, fisiologici e di tollerabilità.

Furono introdotti, quindi, diametri e raggi di curvatura minori ma comunque sufficienti a provocare la modifica corneale. Alla fine degli anni ’80 fu proposto un nuovo tipo di LaC per ortocheratologia con una geometria particolare chiamata “inversa”, caratterizzata da una zona di transizione tra la zona ottica e la flangia periferica più curva della zona ottica stessa. Pertanto questa lente permette di avere un’applicazione piatta nella zona centrale e un appoggio nella zona paracentrale dovuto alla chiusura della zona di transizione favorendo il centraggio.

In termini di controllo miopico il trattamento ortocheratologico va a creare un defocus miopico periferico, minimizzando la crescita oculare e rallentando perciò la progressione.

A tal proposito il primo studio fu di Cho nel 2005, poi a seguire: Walline nel 2009, Kakita nel 2011, Santodomingo e Hiraoka nel 2012.

Studio di Santodomingo che fu condotto in Spagna nel 2012. Confrontava la crescita della lunghezza assiale del bulbo in due gruppi di età compresa tra 6 e 12 anni in un arco di tempo di 2anni. 31 bambini furono soggetti al trattamento ortocheratologico, mentre 30 bambini indossarono semplici occhiali monofocali.

Tutti i soggetti presentavano una miopia compresa tra -0.50 D e -4.00 D e fu accettato un astigmatismo non superiore a 1.00 D Ogni sei mesi veniva misurata la lunghezza assiale e venivano eseguite una topografia corneale e una refrazione in cicloplegia.

Dopo due anni si registrò un incremento medio della lunghezza bulbare assiale di 0.47 mm per il gruppo sotto trattamento ortocheratologico, contro 0.69 mm del gruppo di bambini con occhiali monofocali. Santodomingo-Rubido J., Villa-Collar C., Gilmartin B., Gutierrez-Ortega R. (2012)

Un altro studio condotto a Hong Kong nel 2013 comparò la riduzione di allungamento assiale del bulbo di un gruppo di bambini che seguivano il trattamento ortocheratologico e un gruppo di bambini con semplici occhiali correttivi monofocali.

I bambini di entrambi i gruppi avevano un’età compresa tra 8 e 11 anni e una miopia superiore a -5.00 D. Dopo due anni risultò una diminuzione del 63% nell’incremento della lunghezza assiale bulbare dei bambini sottoposti a ortocheratologia rispetto al ai bambini con occhiali monofocali. Charm J., Cho P (2013)


Attività all’aria aperta

Un’ importante teoria riguardante la prevenzione miopica sostiene l’importanza delle attività all’aperto da parte dei bambini.

Molti studi concordano sulla prevalenza di bambini miopi che passano minor tempo all’aria aperta rispetto ai non miopi.

I risultati di tali studi registrarono una diminuzione della progressione da -0.60 D all’anno, nei bambini con entrambi i genitori miopi che passano fino a 4 ore settimanali all’aperto, a -0.20 nei bambini con genitori miopi che superano le 14 ore settimanali di attività all’aperto. ones L.A., Sinnot L.T., Mutti D.O., Mitchell G.L., Moesch- berger M.L (2007)

Da uno studio condotto a Sidney nel 2008 risultò che i bambini che dedicavano più di 15 ore settimanali alle attività all’aperto presentavano una minore o addirittura assente progressione miopica rispetto ai bambini che dedicavano minor tempo a tali attività e che invece rimanevano impegnati in attività visive prossimali. Rose K.A., Morgan I.G., Ip J., Kifley A., Huynh S., Smith W., Mitchell P. (2008)

Sono stati individuati alcuni fattori ambientali che spiegano tale influenza sul controllo miopico di queste attività. Tra queste è possibile citare l’esposizione alla luce solare che stimola la produzione di vitamina D da parte della cute e fa rilasciare a livello retinico alcune sostanze, tra cui la dopamina, ovvero un neurotrasmettitore che sembra inibire o rallentare l’allungamento del bulbo; un campo visivo aperto durante qualsiasi lavoro a distanza ridotta che è ritenuto la condizione ideale affinché non si crei un defocus ipermetropico periferico. Yi J.H., Li R.R (2011)

Nonostante tutte queste ipotesi non è ancora totalmente chiaro quali siano i fattori che riducono lo sviluppo della miopia nei bambini che trascorrono più tempo all’aperto; per esempio si sta ancora cercando di capire se anche il rilassamento accomodativo possa influenzare questa condizione. Jones L.A., Sinnot L.T., Mutti D.O., Mitchell G.L., Moesch- berger M.L (2007)

Il ruolo delle attività allo spazio aperto sta offrendo numerosi spunti ai ricercatori e nonostante la presenza di tanti punti interrogativi le ricerche fin qui svolte rendono la prescrizione di tali attività da parte del professionista ai pazienti giovani, più che legittima.

Infatti, anche le tecniche di Visual Training che prevede, attraverso gli esercizi di allenamento visivo, specifici programmi per il controllo miopico, combinando test che allenano in modo mirato l’abilità visiva carente, tiene conto di questo principio. Accanto ad esercizi, quindi, che allenano le capacità accomodative e di vergenza, grande importanza viene data a test che permettono di ‘aprire la periferia’, ossia di allenare la visione periferica.

Contrariamente a quanto molti credevano, cioè che la principale responsabile della progressione miopica fosse l’attività visiva prossimale, da recenti studi è emerso che questa correlazione non è scientificamente provata ed è ancora oggetto di indagine.

Il moderno stile di vita caratterizzato da una crescente sinergia uomo-tecnologia influenza l’attività quotidiana di qualsiasi persona e particolarmente l’attività visiva.

A tal proposito diventa importante controbilanciare questa tendenza con trattamenti che prevedono, non solo la correzione, ma anche il controllo e la prevenzione miopica.

Lenti a contatto e Progressione Miopica



Accanto alla compensazione con lenti oftalmiche è diffuso l’utilizzo di lenti a contatto (LaC) che, nel caso dei miopi, rendono la visione più nitida, confortevole e reale fin dal primo utilizzo.

Il primo materiale usato in contattologia rigida fu il PMMA (polimetilmetacrilato). Esso presentava diverse caratteristiche positive quali trasparenza ottica, durata, stabilità, atossicità, resistenza alla formazione dei depositi, facilità di lavorazione, riproducibilità e basso costo.

Tuttavia la sua non permeabilità all’ossigeno ne ha limitato l’uso, soprattutto dopo la produzione di materiali migliori sotto questo aspetto.

In termini di controllo miopico si pensava che le lenti in PMMA avessero una funzione di rimodellamento corneale, ovvero la modificazione della forma della cornea a scopo ottico: i raggi luminosi che prima incontravano un cornea più curva tipica di un soggetto miope e che venivano deviati maggiormente andando a fuoco prima del piano retinico, dopo il rimodellamento (più precisamente si parla di schiacciamento apicale) la superficie corneale più piatta devia meno i raggi consentendo loro di andare a fuoco sulla retina.

Uno studio di Stone nel 1973 confrontò la progressione miopica tra soggetti che usavano occhiali con lenti monofocali e quelli che portavano lenti rigide in PMMA applicate appena più strette del meridiano più piatto. I soggetti furono presi nel periodo di età in cui la miopia si sviluppa più velocemente, ovvero l’adolescenza, e furono sottoposti allo studio per 5 anni.

I risultati furono ben chiari: una progressione di -0.50 D nei portatori di lenti a contatto, contro -1.75 D per i soggetti con gli occhiali. Secondo Stone la differenza non era da attribuire totalmente all’appiattimento corneale causato dalle lenti a contatto. Infatti mise in evidenza che la differenza di appiattimento tra i due gruppi era inferiore a 0.50 D mentre la differenza in termini di progressione miopica era di 1.25 D.
Tenendo conto che sia le lenti in PMMA sia le RGP agiscono sicuramente in parte o addirittura totalmente sfruttando il rimodellamento corneale, si può considerare a tal proposito un errore strumentale nelle misurazioni dei ricercatori negli studi.

Il cheratometro da essi utilizzato per le misurazioni considerava la parte paracentrale della cornea e non la zona apicale dove avviene lo schiacciamento da parte della lente.
Questo errore involontario ha portato loro a concludere che non tutta la riduzione in termini di progressione miopica era dovuta al rimodellamento, mentre molto probabilmente si sbagliavano.

Dato il successo avuto dalle lenti in PMMA nel controllo miopico si pensò di poter utilizzare anche le lenti RGP (rigide gas permeabile) che offrivano appunto il vantaggio di essere permeabili all’ossigeno, mantenendo lo stesso principio di funzionamento.

Il primo studio clinico effettuato con le lenti RGP fu condotto dal 1989 al 1991 alla Houston University. Il gruppo sperimentale era composto da 100 miopi di età compresa tra i 9 e i 13 anni.

Le lenti furono applicate tutte “on-K” cioè allineate al meridiano più piatto. Il gruppo controllo era composto da soggetti, sempre con lo stesso intervallo di età, portatori di occhiali. Dopo tre anni furono riportati i primi risultati: per i soggetti portatori di RGP ci fu una progressione pari a -0.48 D, mentre per il gruppo di controllo ci fu una progressione pari a -1.53 D.

Analogamente allo studio effettuato da Stone anche in questo caso l’effetto dovuto all’appiattimento corneale (0.37) sul controllo è minore della metà del risultato finale.

Il beneficio riscontrato dall’uso delle lenti RGP è stato evidenziato anche nello studio condotto presso l’Ohio University nel 2004, in cui è stata valutata la progressione miopica dopo l’uso di RGP e quella dopo l’uso di lenti morbide. Dopo un periodo di tre anni ci fu un incremento pari a -1.56 D per il gruppo con lenti RGP e -2.19 per il gruppo con lenti morbide.

Alla luce di tutte queste dimostrazioni nacque però un interrogativo: con un porto discontinuo di lenti rigide ci sarebbero comunque gli stessi effetti sulla progressione?

Sempre alla Houston University furono monitorati i soggetti presi per lo studio precedente sopra riportato. Fu loro chiesto durante le vacanze estive, al termine dell’anno accademico, di continuare ad usare lenti RGP, non indossandole quotidianamente ma alternando il loro porto utilizzando gli occhiali.

I risultati ottenuti alla fine dell’estate, quindi per un periodo di circa tre mesi, mostrarono un’elevata progressione miopica. Nasce pertanto un sostanziale dubbio su quali siano i veri effetti del rimodellamento corneale causato dalle lenti. Le LaC bifocali hanno, appunto, due poteri e sono state concepite per mettere a fuoco oggetti posti lontano e vicino. Tali lenti erano nate soprattutto con l’intento di favorire i presbiti ametropi, ma la necessità di compensare correttamente un miope da lontano e al tempo stesso poter disporre di un addizione per la visione prossimale, la rende una soluzione alternativa valida alle LaC monofocali.

Sono stati studiati diversi design più o meno complessi, ma con l’unico scopo di avere una visione il più possibile nitida per entrambe le distanze di fissazione.
Il più comune è quello ad anelli concentrici, su ognuno dei quali si ha un diverso potere diottrico.

L’efficacia di queste lenti dipende soprattutto dal posizionamento che esse assumono sull’occhio e dalla dimensione pupillare del soggetto che varia in base alla fissazione lontano o vicino e anche dell’intensità luminosa.
Il vantaggio di queste lenti è dovuto al fatto che possono ruotare seguendo le varie escursioni dell’occhio senza indurre effetti prismatici e senza variare l’effetto ottico.

Oltre a ridurre lo sforzo accomodativo nella visione prossimale, quelle con la zone centrale dedicata alla visione a distanza producono un defocus periferico miopico che l’occhio interpreta come un segnale di stop per la crescita determinando un defocus miopico.

A verificare l’efficacia di tali lenti a contatto sulla progressione miopica fu uno studio del 2006 che interessò 78 soggetti miopi di età compresa tra gli 8 e i 18 anni, con esoforia prossimale, che vennero divisi in due gruppi: uno di controllo in cui era richiesto il porto di lenti a contatto morbide monofocali e l’altro in cui era richiesto il porto di lenti a contatto morbide bifocali.

Dopo un anno si registrò una progressione di -0.10 D per i portatori delle bifocali e di -0.75 D per il gruppo controllo. Rispettivamente si era verificato un incremento della lunghezza assiale di 0.05 mm e di 0.24 mm. A partire dal 2010 la Cooper Vision ha cominciato a commercializzare ad Hong Kong un lente a contatto morbida bifocale giornaliera ideata specificatamente per il controllo miopico. Si tratta della così detta MiSight prodotta con gli stessi materiali della Proclear.
Un altro trattamento per il controllo della progressione miopica è la lente a contatto morbida multifocale.

Essa permette la visione nitida a tutte le distanze di fissazione. Come per la bifocale sono stati studiati diversi design e profili appunto per far fronte a qualsiasi tipo di esigenza visiva. Sostanzialmente la lente è costituita da diversi anelli concentrici di potere diverso che vanno a creare più immagini retiniche per oggetti posti a diverse distanze. Sono multiconcentriche in modo da diminuire la dipendenza del funzionamento dalla dimensione pupillare.

Oltre che da quest’ultima la loro efficacia è molto influenzata dal centraggio e dalla potenza diottrica dell’addizione.
In tema di controllo miopico il loro funzionamento è stato esaminato in un recente studio che ha comparato il defocus periferico in occhi miopi causato da lenti a contatto sferiche monofocali e da lenti a contatto multifocali centrate per lontano. La lente multifocale causava un defocus miopico periferico durante la visione distale, mentre nel vicino si verificava un defocus periferico relativamente più miopico (meno ipermetropico) rispetto alla lente sferica monofocale.

Secondo i ricercatori di questo studio i risultati rendono la multifocale un’ottima candidata per il controllo miopico dei bambini. A confermare questa ipotesi un altro studio ha determinato gli effetti delle lenti multifocali centrate per lontano sulla progressione miopica in un periodo di 2 anni. I risultati indicarono un riduzione del 50% della progressione nei soggetti che avevano portato lenti multifocali (P=0.0001) e in questi una riduzione del 29% dell’allungamento assiale del bulbo .

Con il termine ortocheratologia si intende una procedura, mediante l’uso di LaC, per compensare l’errore refrattivo tramite la modifica o meglio il rimodellamento della curvatura corneale.

È un trattamento reversibile che permette, sospendendo l’uso delle LaC, di ritornare alla situazione iniziale. L’ortocheratologia prevede sia l’uso diurno di tale specifiche lenti, sia l’uso notturno (ortocheratologia notturna). Il beneficio portato dal primo tipo di applicazione ortocheratologica è che consente alla sera, per esempio al termine delle attività lavorative, di portare una correzione più leggera rispetto a quella abituale, ottimale in caso di miopie elevate; il secondo tipo, invece, prevede l’uso delle lenti durante il sonno per ottenere un rimodellamento corneale tale da permettere una visione adeguata senza lenti, di giorno.

L’aspetto più delicato riguarda la fisiologia e i danni ai quali la cornea è maggiormente esposta a causa di potenziali infezioni, tuttavia facilmente evitabili con una buona educazione igienica da parte del portatore e un costante monitoraggio da parte degli specialisti, gli optometristi per la parte tecnicorefrattiva e l’oftalmologo per la verifica annuale di assenza di patologie ed infezioni che possono inficiare il risultato o creare problematiche.

Il monitoraggio dell’optometrista diventa fondamentale poiché la lente deve essere calcolata con estrema precisione in base ai parametri corneali e deve garantire il giusto rimodellamento corneale affinché la visione possa risultare nitida quando le lenti vengono tolte.

Possono, infatti, verificarsi diverse situazioni, dovute all’errata applicazione o all’eccessivo movimento della lente, che comportano, nella maggior parte dei casi, un rimodellamento errato, tale da non compensare adeguatamente la miopia ed introdurre aberrazioni.

Anche in tal caso basta sospendere l’applicazione momentaneamente, migliorandola e poi riprendere il trattamento.
Sotto il profilo storico già dagli anni ’50 ci si era resi conto delle variazioni di curvatura indotte dalle lenti rigide, ma solo nei primi anni ’60 si cominciò a sfruttare questo effetto per la correzione degli errori refrattivi.

Le prime lenti a contatto utilizzate erano molto piatte e con diametri grandi in modo da garantire l’effetto di appiattimento sull’apice corneale.

Queste lenti avevano però dei grossi limiti tra cui la difficoltà di centraggio e un’eccessiva dinamica che portavano disturbi visivi, fisiologici e di tollerabilità.
Furono introdotti, quindi, diametri e raggi di curvatura minori ma comunque sufficienti a provocare la modifica corneale.
Alla fine degli anni ’80 fu proposto un nuovo tipo di LaC per ortocheratologia con una geometria particolare chiamata “inversa”, caratterizzata da una zona di transizione tra la zona ottica e la flangia periferica più curva della zona ottica stessa. Pertanto questa lente permette di avere un’applicazione piatta nella zona centrale e un appoggio nella zona paracentrale dovuto alla chiusura della zona di transizione favorendo il centraggio.

In termini di controllo miopico il trattamento ortocheratologico va a creare un defocus miopico periferico, minimizzando la crescita oculare e rallentando perciò la progressione.

A tal proposito il primo studio fu di Cho nel 2005, poi a seguire: Walline nel 2009, Kakita nel 2011, Santodomingo e Hiraoka nel 2012.
Studio di Santodomingo che fu condotto in Spagna nel 2012. Confrontava la crescita della lunghezza assiale del bulbo in due gruppi di età compresa tra 6 e 12 anni in un arco di tempo di 2anni. 31 bambini furono soggetti al trattamento ortocheratologico, mentre 30 bambini indossarono semplici occhiali monofocali. Tutti i soggetti presentavano una miopia compresa tra -0.50 D e -4.00 D e fu accettato un astigmatismo non superiore a 1.00 D. Ogni sei mesi veniva misurata la lunghezza assiale e venivano eseguite una topografia corneale e una refrazione in cicloplegia.

Dopo due anni si registrò un incremento medio della lunghezza bulbare assiale di 0.47 mm per il gruppo sotto trattamento ortocheratologico, contro 0.69 mm del gruppo di bambini con occhiali monofocali.

Un altro studio condotto a Hong Kong nel 2013 comparò la riduzione di allungamento assiale del bulbo di un gruppo di bambini che seguivano il trattamento ortocheratologico e un gruppo di bambini con semplici occhiali correttivi monofocali.

I bambini di entrambi i gruppi avevano un’età compresa tra 8 e 11 anni e una miopia superiore a -5.00 D.
Dopo due anni risultò una diminuzione del 63% nell’incremento della lunghezza assiale bulbare dei bambini sottoposti a ortocheratologia rispetto al ai bambini con occhiali monofocali.

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